Toti Scialoja in mostra a Longiano
RICORDO DI TOTI SCIALOJA
a cura di Giuseppe Appella
Sculture, disegni, dipinti e documenti al Castello Malatestiano di Longiano
29 maggio – 30 agosto 2010
Longiano (FC), Castello Malatestiano, Fondazione Tito Balestra
Piazza Malatestiana 1
Da maggio a luglio: dal martedì alla domenica e festivi 10,00-12,00/ 15,00-19,00
Agosto: Dal martedì alla domenica e festivi 10,00-12,00/ 16,00-20,00
Ingresso (museo e mostra) € 3,00 - ridotto € 2,00
INAUGURAZIONE SABATO 29 MAGGIO ORE 18.30
18 sculture datate 1958-1989; 35 tecniche miste degli anni 1938-1998; 125 disegni con animali e poesie dedicati, tra il 1961 e il 1979, ai bambini; 50 disegni inediti destinati nel 1938-1939 all’Almanacco della Cometa. Inoltre, un ricco apparato di immagini, documenti, libri, cataloghi che ripercorrono la vita di Scialoja dall’infanzia alla morte, senza tralasciare la giovinezza, gli studi, i primi interessi artistici, gli esordi, le mostre, il mondo dello spettacolo, la letteratura, gli amici, la critica, i rapporti con l’America, con De Kooning e Motherwell, la vita d’artista tra Burri e Afro, gli anni Sessanta in Italia e in Europa, gli anni Settanta e i viaggi all’estero, gli anni Ottanta e Novanta tra pittura e poesia. Questo il ricco percorso espositivo della mostra in apertura sabato 29 maggio al Castello Malatestiano di Longiano e nella adiacente chiesa Madonna di Loreto.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Toti Scialoja e il MUSMA di Matera, permette di constatare come avviene la nascita e la crescita del quadro, della scultura, della poesia in Scialoja e, soprattutto, la tensione interiore o grande gioia di esistere che lo sostiene, la volontà di assoluto che lo muove. L’impegno psicofisico affrontato nella preparazione e nella messa a fuoco dell’opera non è mai scemato in Scialoja, proprio per quel rapporto evidente che c’è tra il pittore, il poeta e il critico. Tra gli artisti della sua generazione, infatti, Scialoja è l’unico ad aver fatto del pensiero critico un mezzo di creatività. Basta leggere le pagine che negli anni Quaranta scriveva per “Mercurio” e quindi per “L’Immagine”, i commenti sotto le riproduzioni a colori nel volume che accompagnava la retrospettiva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, o sentirlo parlare di spazio, di colore, di luce, di ritmo, di realtà per avvertire chiaramente quanto il pensiero fatto parola abbia nutrito la pittura, si sia posto come struttura e metodo della pittura, proprio sull’esempio di Leonardo: La pittura è cosa mentale. La stessa poesia che, negli ultimi due decenni della sua esistenza, incontrò quella fortuna toccata alla pittura, è suono pensante, armonia, musica, un insieme di sonorità che chi ha visto Scialoja dipingere può meglio comprendere nella sua complessità spaziale, gestuale, segnica. I suoi pensieri, come i suoi dipinti, sono agganciati gli uni agli altri, come corpi comunicanti in cui conoscenza e felicità sono connesse, anche quel tanto di turbamento emotivo che la parola non può sciogliere ma che, nonostante tutto, continua a fissarsi sulla carta con sorprendente freschezza, la ripetizione come momento attivo del tempo, avida e straordinariamente acuta nell’interrogazione del mondo e di se stessi. Scrive Scialoja nel suo “Giornale di pittura”: “Dipingere è diventato per me quello che doveva essere per i pittori antichi: semplicemente un modo di “imitare per amore”. Imito la mia natura, cioè la mia cultura (quella che amo), e insieme la mia sensazione di esistere (trasformo la sensazione in certezza). La mia pittura tende non ad una immagine ma ad una visione”.
Un discorso, a parte, merita la scultura. Scialoja nasce alla scultura nel 1942, con il suo ingresso, come scenografo e costumista, in quella forma complessa di manifestazione artistica che è lo spettacolo teatrale in cui poesia, musica, architettura, pittura e scultura concorrono fraternamente. I suoi primi lavori con impostazione costruttivista sono L’opera dello straccione e Capricci alla Strawinsky (1943), con quei valori cromatici che corrispondono alle maioliche e alle terrecotte invetriate o smaltate di Leoncillo, alle quali seguono Il mandarino meraviglioso (1945), Rhapsody in Blue, Les Maries de la Tour Eiffel e Marsia (1948), Le malentendu (1949), La morte dell’Aria (1950), One Way Street (1955), Phersephone (1956), Povera Juliet (1964), lo spettacolo dedicato ai ragazzi, con Italo Calvino che inventa un gruppo di favole sulle sue sculture parietali e, dopo un lungo intervallo, nel 1986, per le Orestiadi di Gibellina, Il ratto di Proserpina di Rosso di San Secondo. La tensione, la scelta dei materiali (casse di imballaggio, sedie, sughero, antichi ferri, chiodi, viti, corde), il metodo di lavoro sono assolutamente plastici. Le forme sono sottoposte a ritmi diversi, a sommovimento rotatori e ondulatori che, modificando i punti di luce, rinnovano i colori e le forme stesse conducendolo alle quindici sculture eseguite e fuse nel 1989. La materia è il das, una sorta di fango che si riscatta, o di lievito che fermenta nel bronzo sulla cui superficie, come su una epidermide umana, affiorano tutti passaggi dello slancio vitale, dei palpiti che hanno originato le costruzioni dei dipinti, le scansioni delle impronte degli anni Cinquanta accartocciate in ritmi plastici e cromatici, lo squamarsi della forma in volumi equamente distribuiti, distesi e trincerati gli uni negli altri, secondo un progetto semplicissimo. Ha scritto Scialoja: “La pittura è uno spazio da percorrere con l’occhio secondo una direzionalità e, in certo modo, una irreversibilità. Così la scultura. È un organismo da percorrere con la mano perché non dobbiamo dimenticare che la curvatura è anche un modo di carezzare e di essere carezzati”. Un processo invisibile di andare verso l’invisibile.
NOTE BIOGRAFICHE
Toti Scialoja (Roma 1914 - 1998) è stato pittore e poeta, scenografo e critico d’arte. Dopo gli studi classici e dopo le prime esposizioni personali e collettive ha partecipato alla Resistenza. Nel dopoguerra si è legato ai pittori Ciarrocchi, Stradone e Sadun, con i quali ha esposto alla Galleria del Secolo di Roma (1947). Ha collaborato con articoli di critica d’arte a diverse riviste, tra cui “Il Selvaggio” e “Mercurio” e dal 1943 ha disegnato scene e costumi per numerosi spettacoli di balletti e opere musicali in Italia e in America dove presenta inoltre diverse personali di pittura nelle più note gallerie d’arte. Il corso di scenografia da lui tenuto presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, che in seguito ha diretto, è stato il luogo di formazione per molti artisti delle successive generazioni, tra i quali Pino Pascali, Yannis Kounellis e Nunzio. I suoi libri sono apparsi con Mondadori, Garzanti, Einaudi, Editori Riuniti, Edizioni della Cometa, Bompiani, Scheiwiller.
Informazioni per il pubblico
Fondazione Tito Balestra onlus
tel 0547 665 850 – 665 420 fax 667 007
www.fondazionetitobalestra.org
e-mail fondazione@iol.it
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