Dolci della tradizione di Romagna
Fra le ritualità che, come sopraccennato, hanno storicamente segnato la gastronomia popolare romagnola, le dolcierie per cerimonie di festa (sagre, battesimi, cresime, matrimoni) hanno lasciato ancor’oggi nei territori, nelle zone e nei paesi… zuccherosa traccia.
Come, ad esempio, il Bracciatello (brazadel: il biscotto col buco, per infilarlo nella mano del bimbo); il Bustreng (pare che il nome sia di origine barbarica) torta dalla ricetta quasi misteriosa (32 ingredienti, di cui solo 20 conosciuti, tra i quali farina gialla, pangrattato, latte, uova, zucchero), conservata gelosamente dalle massaie di Borghi dove alla seonda domenica di maggio si festeggia la omonima sagra; la Pagnotta Pasquale (torta pasquale a base di farina e uova) di cui in Sarsina si celebra la festa, ma che gli abitanti di Mercato Saraceno rivendicano primogenitura storica; le Fave dei morti (biscotti aromatizzati all’anice), il Castagnaccio (dolce a base di farina di castagne).
Molto particolare è il
Migliaccio di Romagna che viene prodotto in famiglia durante il periodo della macellazione dei suini ad uso familiare (novembre – febbraio). La sua produzione è ancora oggi legata all’antica tradizione che prevede l’utilizzo di tutti i sottoprodotti della macellazione. Infatti uno degli ingredienti principali è il sangue di maiale, che va aggiunto a latte, saba oppure miele, pangrattato, burro, spezie, cioccolata, canditi misti, fichi secchi e mandorle. La ricetta del Migliaccio si trova nel libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi dove l’autore descrive anche il contesto in cui il Migliaccio viene tradizionalmente prodotto.
Insuperabili nella semplicità e fragranza, la tradizionale Ciambella di uova e farina col classico “buco” e la zuppa inglese (meglio sarebbe però dire Zuppa romagnola) a base di creme e cioccolato, “bagnati” dall’alchermes.