Caio Giulio Cesare è uno dei personaggi più famosi della storia: fu militare, console, dittatore, oratore e scrittore. La sue vicende sono ben note per avuto un ruolo cruciale nella transizione da periodo repubblicano e quello imperiale. E’ altresì considerato il primo dittatore di Roma. Caio Giulio Cesare nacque a Roma nel 100 a.C. Faceva parte dell'antichissima e nobile "gens Julia", discendente da Julo, figlio di Enea e, secondo il mito, a sua volta figlio della dea Venere.
Le vicende che lo legano alla Romagna sono sostanzialmente legate
all’attraversamento del fiume Rubicone la notte del 10 gennaio del 49 a.C.. Il fiume segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio di Roma e come tale non poteva essere attraversato in armi. Questo, in breve, l’antefatto. Dopo avere riportato importanti vittorie militari e avere sottomesso gli Iberici, intorno al 60 a.C. Cesare, insieme a Crasso e a Pompeo, stringeva un importante sodalizio politico conosciuto con il nome di "Primo Triumvirato". Nello stesso periodo ottenne il consolato della Gallia. Accanto alle imprese militari, Cesare stava organizzando intorno a sé un fedele esercito personale, che, tra l’altro gli avrebbe offerto, insieme alla fedeltà, imperitura fama. La campagna militare, cominciata nel 58 a.C. e conclusa nel 51 a.C., fu minuziosamente - e magnificamente - narrata dallo stesso Cesare nei suoi Commentari (il celebre "De bello gallico"). Morto Crasso, del 53 a.C., il triumvirato si sciolse e Pompeo assunse pieni poteri. All’inizio del 49 a.C., Cesare, sfidando Pompeo che avrebbe preteso la rinuncia all’esercito e il rinetro da semplice cittadino a Roma, prese la difficile decisione di attraversare in armi il Rubicone, fiume che delimitava allora l'area geografica che doveva essere interdetta alle legioni (fu in questa occasione che pronunciò la famosa frase: "Alea iacta est", ovvero "il dado è tratto"). Il passo di Cesare, come noto, rappresentava una strada senza ritorno: la guerra civile (49 al 45 a.C.), ci viene tramandata dallo stesso Cesare nel "De bello civili". Varcato dunque il Rubicone, Cesare marciò su Roma. Il senato si affrettò a proclamarlo dittatore, carica che mantenne fino all'anno seguente, quando gli fu affidato il consolato. Pompeo fu sconfitto a Farsalo, nel 48 a.C., in una battaglia ritenuta il capolavoro militare di Cesare. Nel 45, Cesare fece solenne ingresso nell'Urbe, celebrando il suo quinto trionfo. Da quel momento in poi Cesare detenne il potere come un sovrano assoluto con il titolo di imperator (comandante generale delle forze armate) nel 45 a.C. , un potere di fatto dittatoriale, cui associò come magister equitum l'emergente Marco Antonio.
Sembra che Cesare fosse venerato come un dio sotto il nome di Jupiter- Iulius.
I malumori contro un personaggio di così grandi capacità e ambizioni, in Roma, non si erano mai sopiti e negli ambienti più tradizionalisti e nostalgici dei vecchi ordinamenti repubblicani fu ordita una congiura contro di lui, guidata dai senatori Cassio e Bruto, che lo assassinarono il 15 marzo del 44 a.C. (passate alla storia come le "Idi di marzo").
Tra gli innumerevoli ritratti che di lui ci sono stati conservati, due sono particolarmente significativi, ossia quello relativo al suo aspetto fisico, tracciato da Svetonio (nelle "Vite dei Cesari"), e quello morale, tracciato dal suo grande avversario Cicerone in un passo della seconda "Filippica". Ecco quello di Svetonio: "Cesare era di alta statura, aveva una carnagione chiara, florida salute[...] Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso. Per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli[...] Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta".
Non meno incisivo quello di Cicerone: "Egli ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura, attività, prontezza, diligenza. In guerra aveva compiuto gesta grandi, anche se fatali per lo stato. Non aveva avuto per molti anni altra ambizione che il potere, e con grandi fatiche e pericoli l'aveva realizzata. La moltitudine ignorante se l'era conquistata coi doni, le costruzioni, le elargizioni di viveri e banchetti. I suoi li aveva acquistati con premi, gli avversari con manifestazioni di clemenza, insomma aveva dato ad una città, ch'era stata libera, l'abitudine di servire, in parte per timore, in parte per rassegnazione".
Giulio Cesare in Romagna viene ricordato in diversi luoghi: a
Ravenna, in cui secondo le fonti lo si ritrova per rinserrare le file del suo esercito (la XIII Legio Gemina), per muoversi verso sud e attraversare il fiume Rubicone, e poi a Rimini dove incoraggiò i suoi uomini per muovere e marciare su Roma. Proprio a
Rimini Benito Mussolini, per ricordarlo, donò alla città una statua, copia di quella del Campidoglio di Roma, ora presso la locale Caserma Giulio Cesare (quella che si vede in Piazza Tre Martiri è una copia di quella donata dal Duce).
Tra queste due città, Ravenna e Rimini, scorre il famoso Rubicone. Sul riconoscimento del suo corso, a onor del vero, sono ancora vive una serie di dispute locali. Nel 1933 la cittadina di Savignano di Romagna, su interessamento della locale Accademia dei Filopadridi, chiese ed ottenne dal Duce di poter vedere mutato il proprio nome in
Savignano sul Rubicone, cosa che naturalmente non sarebbe tuttavia bastata a sopire le polemiche con le vicine città. A Savignano di quel fatto e di quel tempo remoto restano il ponte romano (ma di età successiva, ovvero augustea, e ricostruito dopo che il 29 settembre 1944 i Tedeschi in ritirata lo avevano minato)e da meno tempo una statua che celebra, su uno dei capi del ponte la figura di Giulio Cesare (corredate dalle lettere S.P.Q.S., contestualizzazione locale del famoso acronimo S.P.Q.R. che in tal caso si identifica con la storica città di Savignano). Più a nord, verso Cesena, un ponte lungo la via Emilia (ponte San Lazzaro), annuncia che si sta scavalcando ancora il Rubicone (che evidentemente non è lo stesso che si vede a Savignano). Poco distante, in frazione Calisese, si narra della leggenda della “Malanotte”.
Si dice, infatti, che lungo il
fiume “Urgòn” (corruzione locale del nome “Rubicone”), Cesare avesse combattuto con i suoi fidi uomini contro i Romani e che qui fosse stato ferito e lasciato a morire un ufficiale, che trovò la morte dopo una lunga agonìa.
Scoperto il corpo dello sfortunato uomo, gli abitanti del posto decisero di dargli degna sepoltura, in un sarcofago che venne interrato, lì, dove l’uomo era stato trovato.
Il secolo scorso, un abitante di queste terre, tale, Malanotte, rinvenne la sepoltura che fu profanata. Il sonno eterno del povero ufficiale era stato disturbato. Si narra che il contadino non ebbe pace sin tanto che non decise di ricomporre la sepoltura così come l’aveva trovata.
Più a monte, nel territorio di
Sogliano al Rubicone (che in questo caso il Comune si diede in autonomia nel XIX secolo), la questione rubiconiana si risolve. Le sorgenti (sarebbe più corretto parlare di un complesso di surgive) da cui scaturiscono le acque del Rubicone ( o dei Rubiconi), nascono tutte in questo territorio, nella zona di
Strigara, il cui toponimo, rimanda proprio ad un territorio “extra Gallia”, cioè fuori dalla Gallia Cisalpina, a confermare che il Rubicone come luogo di confine passava da queste terre.
Infine, anche a valle, ovvero nella zona della foce, tutto torna a ricomporsi: i fiumi
Pisciatello e Fiumicino (Rubicone), si uniscono per gettarsi nella acque dell’Adriatico all’altezza di Savignano Mare. Sul ponte vicino alla foce un busto ricorda ancora una volta
Gaio Giulio Cesare.